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202 l’aridosia


Marcantonio. Dico che noi vogliamo, la prima cosa, che tu dia Cassandra tua figliuola per moglie a Cesare di Poggio.

Aridosio. Son contento.

Marcantonio. Dipoi vogliamo che tu lasci tórre a Tiberio una moglie che gli dá se’ mila ducati di dote.

Aridosio. Di questo ho io a pregar voi. Come! Seimila ducati? Oh! Chi sará piú ricco di lui?

Marcantonio. Ell’ è da Tortona; che tu non dica poi «io noi sapevo».

Aridosio. Sia da casa il diavolo. Seimila ducati, ch?

Marcantonio. E Tiberio è contento di darti della sua dota mille scudi e’ quali tu dia per dota a Cesare acciò che tu non ti abbi a cavar danari di mano.

Aridosio. Questi mi paion ben troppi, a dirti il vero.

Marcantonio. Ti paion troppi, e oggi n’hai guadagnati ottomila!

Aridosio. Com ’ottomila?

Marcantonio. Dumila n’hai trovati; e sei n’ha Tiberio.

Aridosio. Orsú ! Fa’ tu, Marcantonio.

Marcantonio. Voglio gne ne dia in ogni modo.

Aridosio. Noi faremo, adunque, dua paia di nozze a un tratto.

Marcantonio. Noi ne faremo pure insino a tre: che io ho, questa sera, dato moglie a Erminio.

Aridosio. E chi?

Marcantonio. Te io dirò per la via.

Aridosio. Buon prò ti faccia, Erminio.

Erminio. Ed a voi, che avete oggi guadagnati tanti danari.

Marcantonio. Andiamo adesso drento a concludere affatto questi parentadi e a far motto a* nostri parenti che tutti sono in casa mia.

Erminio. Fate che ei si mandi per Cassandra.

Aridosio. La ci sará domattina a buon’ora. E farolla venire a casa tua, dove si potranno fare tutte a tre le paia delle nozze; perché la mia è tanto disagiata stanza che non vi si potrebbe né ballare né far cosa buona.