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atto quinto 201

Marcantonio. E’ son qui presso; e, di qui a poco, li arai nelle mani.

Aridosio. Io non lo credo, s’io non li veggio e non li tocco.

Marcantonio. Innanzi che li abbia ci hai a promettere di far dua cose: la prima, di dar Cassandra tua figliuola a Cesare di Poggio; la seconda, di lassar tórre una moglie a Tiberio con seimila ducati di dota.

Aridosio. Io non bado e non penso a nulla se non a’ mia danari; e, insino che io non li veggio almanco, io non odo quel che voi vi dichiate. Vi dico bene, se voi fate che io abbi i mia danari, che io farò ciò che voi vorrete.

Marcantonio. E cosí mi prometti?

Aridosio. Cosí vi prometto.

Marcantonio. Se tu ne manchi, te li torremo per forza. To’. Eccoti i tua danari.

Aridosio. Oh Dio! E’ son pur dessi. O Marcantonio mio, quanto ben ti voglio! Io non ti potrò mai ristorare, se bene io vivessi mille anni.

Marcantonio. Tu mi ristorerai assai, se tu farai queste dua cose.

Aridosio. Tu m’hai reso la vita, l’onore, la roba e l’essere che, insieme con questi, avevo perso.

Marcantonio. Però mi debbi tu far queste grazie.

Aridosio. E chi l’aveva rubati?

Marcantonio. L’intenderai poi. Rispondi a questo.

Aridosio. Io voglio prima annoverargli; e poi ti risponderò.

Marcantonio. Che bisogna adesso annoverarli?

Aridosio. E se ce ne mancassi?

Marcantonio. Non ve ne manca certo. E, se ve ne manca, ti prometto di rifarli di mio.

Aridosio. Fammi un po’ di scritta, e son contento.

Erminio. Oh che omo!

Marcantonio. Quest’è pur cosa da starsene alla fede.

Aridosio. Orsú! I’ me ne sto alla tua promessa. Che di’ tu di seimila ducati?

Erminio. Guarda s’egli ha tenut’a mente questo!