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198 l’aridosia


SCENA VI

Lucido, Erminio, Marcantonio.

Lucido. E’ par che la sorte voglia che, quando e’ s’ha bisogno d’uno, e’ non si truovi mai.

Erminio. Domin se colui cerca di voi!

Lucido. Né a casa né in piazza è.

Marcantonio. Chiamalo.

Erminio. O Lucido!

Lucido. Quello è Erminio.

Erminio. Dove guardi? Noi siam qua.

Lucido. Oh Erminio mio! oh Marcantonio! Voi cercavo, patrone.

Erminio. Che ci è di buono?

Lucido. Buonissime novelle ci sono. Quello che è venuto da Tortona, messer Alfonso, è il padre di Livia. E si son riconosciuti e fattesi amorevolezze grandissime con tanta tenerezza che, non che loro, quelli che erono a torno non hanno potuto tener le lacrime. E, in ultimo, messer Alfonso ha pregato Tiberio che, da poi ch’egli ha auto la virginitá della sua figliuola, gli piaccia tórla per mogliere. E li ha promesso in dote seimila ducati: in modo che Tiberio impazza dell’allegrezza e non ha altra paura se non che la sciagurataggine di suo padre non voglia che ei la tolga; e, a questo effetto, ha disegnato di darli dumila ducati della sua dota acciò che gli abbi a consentire. E però m* ha mandato qui a pregarvi che voi vogliate essere con Aridosio e disporlo a questa cosa.

Marcantonio. Se la sta cosi, non bisogna troppo pregarlo; che dumila ducati farebbon tór moglie a lui.

Lucido. La sta come io ve la dico.

Marcantonio. Non si affatichi e non largheggi tanto colle promesse; che per manco m’obligo a fargnene fare. Ma Tiberio dovea pur almanco venire insin qua.