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spagnuolo e prologo 9

ATTO I

SCENA I

Messer Giannino giovene, Vergilio servo.

Messer Giannino. Io t’ho detto: Vergilio, vede d’esser intorno a questa cosa; trova Marchetto; e sappi se questa ingrata di Lucrezia ha voluto degnarsi d’accettar la collana o vero s’ella, rifiutandola come gli altri presenti ch’io gli ho mandati, sta pur ostinata di voler vedermi morire.

Vergilio. Padrone, a Marchetto par tempo perso el farci piú parole perché vede che è cosa impossibile dispor Lucrezia a tôr marito o a cosa che voi voliate. E, per amor mio, non giá che pensi di far frutto alcuno, so che non mancará di fedeltá e diligenzia, sempre che noi voliamo; ma so certo che invano.

Messer Giannino. Oh Dio! Pur a costei si può dare el titolo di tutte l’ingrate e crudeli; che, giá tre anni ch’io so’ in Pisa per amor suo, non mi posso vantar ch’ell’abbia voluto una volta ricever mio presente, non ascoltar mia imbasciata, non pur contentarmi mai d’uno sguardo che non sia stato acceso di sdegno e di crudeltá. E pur io, dal mio canto, non ho mai, ch’io sappi, fatto cosa che meriti questo.

Vergilio. Troppo v’inganna la passione. Pare a quest’uomini, com’egli amano e non son amati, poter meritamente gravar le donne d’ingratitudine. E la cosa non va cosí; che le donne, come gli uomini, son libere d’amar chi lor piace senza carico di crudeltá. Ditemi un poco: perché amate voi Lucrezia, se non perché l’esser suo vi piace? Or, se voi non piacete a lei, per che causa è obligata ad amarvi al suo dispetto?