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atto quinto 197


Marcantonio. E’ non è però d’avezzarsi a far simil disordini; perché, se questo è ito bene, è stato tua sorte.

Erminio. Sorte, no; ma il sapere e l’avvedimento vostro. Però io vi sono doppiamente obligato: prima, che m’avete liberato da un dolore e una angustia la maggior che mai avessi; secondo, che m’avete fatto un piacere e una grazia che altri che Dio non me la potea far maggiore.

Marcantonio. Non tante parole. Bada a goderti Fiammetta, da poi che la ti piace tanto. E fa’ in modo che l’opera mia non t’abbia piú a profittare nel rimediare alli errori che tu farai; ma abbia augumentare e l’onore e la roba tua.

Erminio. Io me ne ingegnerò con tutto il cuore. So bene che la gioventú non mi fará declinare, come altre volte ha fatto, da quella ferm’e buon’intenzione ch’io ho diportarmi bene e di far la voglia vostra.

Marcantonio. Tu sai bene s’io so aver compassione a’ giovani.

Erminio. Il so, che l’ho provato tante volte. Né voglio però, padre mio, fare come oggidí s’usa, che, quando uno è contento e felice, non si ricorda né di amici né di parenti. Adesso, che io ho quel ch’i’ voglio e ch’i’son beato, tanto piú mi vo’ ricordare di quel ch’io ho promesso a Cesare. Il quale m’ha pregato strettissimamente ch’io vi preghi che voi operiate ch’egli abbia questa mia sorella per mezzo di quei danari ch’egli ha trovati. E certamente ch’ei desidera cose ragionevoli.

Marcantonio. Se ei mi dá in mano e’ danari, m’obligo che l’ara stasera.

Erminio. E’ gne n’ha da render la meta; l’altra è appunto la dote.

Marcantonio. Oh! Questo è un altro parlare. Io non credo che Aridosio li voglia dar mai mille ducati.

Erminio. Suo padre non vuole che ei la tolga con manco dota che questa.

Marcantonio. Qui sta el punto. Tu sai che gli è piú fatica cavar danari di mano a Aridosio che tórre la clava a Ercule. Pure proverrò, oggi che io ho buona mano a far parentadi.