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atto quinto 193


Aridosio. lo non so tante cose; io non sto forte a vostre ciancie. Tu hai trovati dumila ducati, che sono e’ mia, e ha ’meli a rendere: se non per amor, per forza.

Ruffo. Io non so quel che vi dichiate.

Aridosio. Si, si! Lo so ben io. Omo da bene, siate testimonio come ei m’ha a dar dumila ducati.

Messer Alfonso. Non posso essere testimonio di questo, s’io non veggio o non odo altro.

Ruffo. Io ho paura che costui non sia impazzato.

Aridosio. Oh uomo sfacciato! Dicemi adesso che ha trovato dumila ducati, che sa che io ho persi e che ei sono i mia, e poi dice d’averli dati a Tiberio per non me li avere a rendere. Ma non ti verrá fatto. Tiberio è manceppato e non ho che far seco.

Ruffo. Dch Aridosio! Noi siamo in equivoco. De’ dumila ducati che voi dite d’aver persi, che me ne sa male, quest’è la prima parola ch’io ne so. E non dico d’aver trovati vostri danari; ma che abbiamo trovato el padre di Livia, che è quest’uomo da bene qui.

Messer Alfonso. Cosí penso.

Aridosio. Che so io di Livia o non Livia? Sia col malanno che Dio vi dia a tutti a dua! Che mi venite voi a romper la testa e dirmi «buone nuove», se voi non avete trovati i miei danari?

Ruffo. Noi pensavamo che voi avessi ad aver caro d’intendere che ’l vostro figliuolo si fossi impacciato con persone nobili e da bene.

Aridosio. Or andate in malora tutti quanti e lasciatemi vivere.

Ruffo. Oh! Ascoltate, Aridosio; ascoltate. Si! Egli ha serrato l’uscio.

Messer Alfonso. Io ho paura che tu non m’uccelli, Ruffo. Io ti dico che tu mi meni a veder la mia figliuola e tu mi meni a un pazzo.

Ruffo. Io non so che diavol e’ si abbia, oggi. Anche poco fa mi disse di non so che spiriti. Quest’è il padre di Tiberio, di quello che ha la vostra figliuola. Commedie del Cinquecento - II. 13