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ATTO V
SCENA I
Messer Alfonso, Ruffo.
Messer Alfonso. Tu potevi pur aver pazienzia un di piú.
Ruffo. E, s’io ero stato dua mesi senza aver da voi o lettera o imbasciata, non volevi ch’io pensassi al fatto mio? Siate certo che molto piú volentieri a voi l’arei donata che a lui venduta.
Messer Alfonso. Donata? Non saresti mai piú stato povero.
Ruffo. Io fui sempre sgraziato.
Messer Alfonso. Sgraziato sono io, che vengo sin da Tortona per veder una mia figliuola vituperata! E sol mi resta la speranza contraria appunt’a quella ch’io avevo dianzi; perché cosi com’io desideravo e speravo che quella fussi la mia figliuola cosi adesso desidero che la non sia dessa: perché molto minore dispiacer mi sarebbe il mancarne, ancor che unica fussi, che il ritrovarla in questo modo.
Ruffo. Che la sia dessa non ne state in dubbio, se son veri i segni che ci avete detti. Ma sapete quel ch’io v’ho da dire, messer Alfonso? Che a maritar l’avete; e che per tutto si vive a un modo. E, benché da Tortona a Lucca sia gran differenzia, niente di manco costui n’è tanto innamorato e suo padre è tanto avaro che, se voi sapete fare e se non vi parrá fatica el donargli una buona dote, gne ne farete tór per moglie. Ed a lei tornerá molto meglio essere maritata qua, dove eli ’è allevata; e a un de’ primi della cittá.
Messer Alfonso. Se i danari avessero acconciare questa cosa, da me non mancherebbe.