Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/199


atto quarto 187


Paulino. Ah! ah! I’ ti vedrò pure un di, come meriti, incoronata di carta, contessa di Borgo Seggiolaio.

Mona Pasqua. Tira via, sciagurato! tira via, sciagurato! che postú arrabbiare!

Paulino. Se tu mi coglievi...

Mona Pasqua. Ti corrò ora, ribaldaccio!

Paulino. O port’e’ fiaschi da te, scanfarda!

Mona Pasqua. S’i’ veggo Erminio...

Paulino. Guarda un po’ qui.

Mona Pasqua. Aspetta pure.

Paulino. I’ mi servirò, intanto, di queste pianelle.

Mona Pasqua. Rendile qua.

Paulino. F corro.

Mona Pasqua. A questo non arò io pazienza. Ei se ne è ito con esse. Se non ch’io ho fretta... Ma, per adesso, andrò senza pianelle. Va’ fidati poi tu di fanciulli! Ei ridicono ogni cosa. Io m’era messa bene, ti so dir io! E pur bisogna, qualche volta, trastullarsi. Ma lasciami andare a portar queste cose, che io son badata pur troppo, innanzi che questi che vengono di qua, che mi paion smarriti e che abbin bisogno di chi mostri loro la strada, mi domandin di qualcosa.

SCENA VI

Messer Alfonso e ’l Briga.

Messer Alfonso. Io potevo far senza mandarti innanzi, da poi che tu hai bisogno di guida. Come si chiama la strada dove gli sta?

Briga. Non lo so.

Messer Alfonso. È ella casa grande o piccola, la sua?

Briga. Io non la posi mente.

Messer Alfonso. E lui com’ha nome?

Briga. Non me ne ricordo.

Messer Alfonso. Tu se’ benissimo informato, adunque.