Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/195


atto quarto 183


Erminio. Era stato dua mesi che da Tortona non aveva mai avut’avviso; da poi v’aveva mandato tre volte: in modo che pensava che gli avessin trovati altri riscontri, o dove la fussi, e che fussin certi questa non essere. Da poi questo che è venuto dice a bocca tutti i segni, tal che è impossibile che la non sia dessa.

Marcantonio. Ei potevon indugiar pur un di piú, acciò che suo padre avessi avute tutte le satisfazioni di riaverla com’ei la perse. Ma, pur cosi, ha egli avuto una gran sorte, se egli è vero. A me pare ei quasi impossibile, perché son casi che accascono rade volte.

Erminio. Pur può essere; e i segni ci sono.

Marcantonio. Io voglio essere in piazza, che adesso è l’ora.

Erminio. Volete voi compagnia?

Marcantonio. Resta pure alle tua commoditá e pensa di far quel ch’io ti ho detto, se tu hai caro di tenermi contento.

Erminio. Guarda che pulce m’ha messo mio padre nell’orecchio! S’io ho caro di tenerlo contento! O come non ho io a ’ngegnarmi di tenerlo contento, che sempre ha tenuto me contentissimo? Lui m’ha lassato spendere, giucare, fare all’amore; insomma, tutte quelle cose di che io ho avuto voglia. E, in quello che da me medesimo ho a me mancato, lui con molta destrezza me l’ha ricordato e fatto acciò che in nessuna parte io non mancassi di piacere. E adesso mi ricerca d’un piacere del quale non è in mia libertá el pensare di fargnene. Oh mia mala sorte! Non era assai il dolore che di lei avevo, quando io temo che ad ogni ora la non partorisca, senza agiugnerci quest’altro? L’amor e l’affetto mi lacerano e mi squartano con tanto dolore ch’io non m’immagino il maggior quello d’un traditore legato alle code di dua possenti cavalli.