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178 l’aridosia


SCENA II

Marcantonio ed Erminio.

Marcantonio. Erminio mi disse d’essere qui.

Erminio. Io v’ho obedito, padre mio.

Marcantonio. Oh! Bene hai fatto.

Erminio. Che volete comandarmi?

Marcantonio. Tu sai che, bench’io potessi comandarti, t’ho sempre pregato. Né adesso voglio cominciare; ma ti voglio avvertire.

Erminio. Oh! Dio voglia che sia cosa ch’io la possi fare, acciò che la non causi in me disobedienzia.

Marcantonio. Tu ti sei immaginato quel ch’io voglio dirti, in modo parli.

Erminio. Penso che voi vogliate dire della mia monaca.

Marcantonio. L’hai trovata.

Erminio. Nella qual cosa io conosco, padre mio, d’errare gravemente e, d’altra banda, conosco di non poter far altro; perché tanto m’era facil, in sul principio, ovviar a questo errore quanto, adesso, m’è difficile, anzi impossibile, il rimediarci. In tali lacci mi truovo essere incorso che altra liberazion non spero e non voglio che la morte; perché come poss’io non amar chi m’ama e non desiderar una cosa che io amo e desidero piú che tutte l’altre? E meritamente, perché ei non è donna nessuna al mondo, né mai ne fu, credo, né sará, che con lei o di bellezza o di gentilezza si possa paragonare. Oltre a questo, non manco è di me che io di lei innamorata; e, quando altro non ci fussi, solo questo mi sforza e mi costringe a non poter usar el libero arbitrio: el quale pur poi è libero, perché altro non voglio e non desidero che lei. Però, padre mio, non vi vogliate opporre a si ardente fiamma d’amor la qual d’altro che da tempo non può essere spenta. E lo pruovono questi vostri comandamenti: che, in tutte le altre cose, mi frangono come se di cera fussi; in questa, loro come di cera si piegono, io come