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atto secondo | 157 |
Erminio. Meschino a me!
Suor Marietta. La poverina s’affligge tanto che io non penso mai che la lo conduca bene. E hammi detto che io ti dica da sua parte che tu vadia a trovare mona Gostanza sua zia e che gli facci scrivere una lettera alla priora per la quale la ricerchi che dia licenzia alla Fiammetta di farsi portar a ^ medicare a casa sua.
Erminio. Oh! La priora non lo fará.
Suor Marietta. Eh! Sopra la fede d’una donna dabbene sua zia, e in un caso come è questo, si bene: che, per il mona- y sterio, si crede che la stia per morire. S’ella fussi monaca, non dirrei cosi; ma alle non velate, qualche volta, s’è concesso.
Erminio. El tentar non nuoce.
Suor Marietta. Fallo in ogni modo; fallo, figliuol mio: e levaci cosí fatta pena dal cuore.
Erminio. Io la vorrei poter levar col proprio sangue perché la leverei a voi ed a me a un tratto.
Suor Marietta. Ma quanto piú presto fai quest’opera, Erminio mio, tanto è meglio.
Erminio. Io andrò adesso, se vi pare.
Suor Marietta. Va’, che la paura mia è che la non partorisca stasera.
Erminio. Dio ci aiuti.
Suor Marietta. Oh! Tu l’hai detto. Chi ha fede in lui non la può far male.
Erminio. Io vo a far questa faccenda.
Suor Marietta. Si; ma non dir alla sua zia che la sia s gravida.
Erminio. Oh! Voi dite le gran cose! Se l’ha andare a casa sua, non s’ha ella a vedere?
Suor Marietta. Oh! Tu di’ el vero: io non avevo pensato a cotesto. Ma come farem noi?
Erminio. Bisogna dirgnene.
Suor Marietta. Fa’ tu. Dignene in modo onesto.
Erminio. Lassate fare a me. Volete altro?
Suor Marietta. Ascolta. Chi manderai tu che la porti?