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atto secondo 155


Aridosio. Meschin a me! Che dic’egli di dumila scudi? Grido io?

Erminio. Non t’ho io detto che desidererei che si trovassi un modo per il quale la potessi uscir di monasterio per tanto ch’ella partorissi?

Lucido. Ho inteso. A questo ancora si potrá pensare; ma sará piú difficile cosa. Patrone, togliete el guanto che v’è cascato.

Aridosio. Oimè che mi rubano! oh traditori! oh ladri!

Erminio. Che grida son queste?

Aridosio. La lastra sta pur bene.

Lucido. Ch’avete, Aridosio?

Aridosio. Non; nulla. Avevo paura.

Lucido. Che dicevi voi di ladri?

Aridosio. Avevo paura che e’ diavoli non mi rubassino in casa.

Erminio. Voi farete impazzar questo vecchio.

Lucido. I’ vorrei volentieri che crepassi. A che è e’ buono?

Aridosio. Quanto vogliam noi stare?

Lucido. Adesso vengo. Non abbiate paura quando siate meco.

Erminio. Dove avete voi andare?

Lucido. A trovare un prete; che voglia fare in modo che noi gli caviam di mano venticinque scudi che s’hanno a dare a Ruffo.

Erminio. Come farai?

Lucido. Lo saprete.

Erminio. Va’, adunque: perché e’ m’è si grato quel che tu fai per Tiberio come se tu ’l facessi per me. E non ti scordar però del fatto mio.

Lucido. Mi maraviglio di voi.

Aridosio. Andianne, Lucido.

Lucido. Io ne vengo. Volete voi altro?

Erminio. No. Io voglio andare insino al monasterio. Addio, Aridosio.

Aridosio. Chi è quello?

Lucido. È Erminio.