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atto secondo | 151 |
Aridosio. Va’ pure alle tua faccende, Lucido.
Lucido. Per mia fé, ch’io non ho che fare.
Aridosio. Io son impacciato. Vattene, Lucido, che io starò un pezzo.
Lucido. Me ne andrò, da poi che volete esser solo. Io ho paura che questo vecchiaccio non ci voglia far qualche tradimento; ma so pur che ei non è da tanto. Me ne voglio andare a trovare Erminio e farlo morire delle risa.
Aridosio. Mi vo’ ritirare in qua, or ch’i’ son solo. Oh Dio! Io son pure sgraziato! Potevam’egli accader cosa peggiore che aver la casa piena di diavoli a causa ch’io non potessi riporre questi danari? Che ho io mai a far di questa borsa? S’io la porto meco, e che Marcantonio la vegga, son rovinato. E dove la posso io lasciare che la non stia a pericolo?
Cesare. Questo potrebbe pur esser la mia ventura.
Aridosio. Ma, da poi che nessuno non mi vede, sará meglio che io la metta qui in questa fogna, sotto questa lastra, dov’altra volta l’ho messa; e fidata sempre l’ho trovata. O fogna dabbene, quanto ti son io obligato!
Cesare. Obligato li sarò io, se ve li metti.
Aridosio. Ma, s’ella fussi trovata, una volta paga per sempre. E, s’io la porto anche meco, non va ella a pericolo d’.esser rubata, vedutami? Al certo, che è quasi quel medesimo: perché, come si sa che un mio pari abbia danari, subito li son levati.
Cesare. Nella fogna sta meglio.
Aridosio. Che maladetti siate voi, diavoli, che non mi lassate riporre la borsa in casa mia! Ma meschino a me, s’ei mi sentono! Che farò? Di qua e di lá son duri partiti. Pure è meglio nasconderla. E, da poi che la sorte dell’altre volte me l’ha salvata, me la salverá anche adesso. Ma non ti lassar trovare, borsa mia, anima mia, speranza mia.
Cesare. Diavol che ei ve la metta mai piú!
Aridosio. Che farò? Orsú! Mettiamla. Ma prima mi voglio guardare molto bene attorno e di qua e di qua e di qua e di quaggiú e di quassú. Oh Dio! che mi par che insino ai sassi abbin gli occhi da vedermi e la lingua da ridirlo. Fogna, io mi