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150 l’aridosia


Aridosio. Eh! Io non starò a questo rischio: che io ti prometto che, come n’escono, subito la vo’ vendere, s’io la dovessi dar per manco dua fiorini che la non mi sta.

Lucido. L’aranno peggiorata piú di venticinque, gli spiriti.

Aridosio. Non me lo ricordare, che mi si addiaccia el sangue. Oh Dio! Io non ho però mai fatto cosa ch’io meriti tanto male; ma per i peccati di Tiberio m’interviene questo. Dov’è egli, quel rubaldo?

Lucido. Voi lo tenete in villa, e domandatene me che sto in Lucca?

Aridosio. Lo debbi bene sapere, che tu ed Erminio me lo sviate.

Lucido. Guarda a quel che costui sta a pensare! Par ch’egli abbi la casa piena d’angeli, non di diavoli.

Aridosio. Pensa che e’ ma’ portamenti di Tiberio mi fan crepare el cuore.

(Lucido spurgasi. Fanno romore).

Oimè! Lucido, di grazia, non ti discostare da me.

Lucido. Oh! Voi non do verresti volermi appresso, che vi svio il figliuolo.

Aridosio. Gli è un modo di dire. So bene che la colpa è sua e che, s’ei non volessi, non lo svierebbe persona. Ma a cosa a cosa. Io vo’ prima cavarmi questi diavoli di casa; e poi faremo conto insieme. Adesso me ne voglio andar in casa Marcantonio a consigliarmi quel ch’io debba fare. Ma che farò io della borsa?

Lucido. Che dite voi di borsa?

Aridosio. Nulla, nulla.

Lucido. Egli è forse lá, in casa, quella borsa dove voi avete e’ dumila ducati?

Aridosio. E dove ho io dumila ducati? Dumila fiaschi! Hai trovato l’uomo che ha dumila ducati! Ma avviati, Lucido; che io ne verrò a bell’agio.

Cesare. Ve’ s’ei niega d’aver danari, l’avarone!

Lucido. Venite pure a vostra commoditá; che non mi incresce l’aspettare.