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atto secondo | 149 |
Aridosio. Tu di’ il vero. E la casa arderebbe, or che io la ripenso. Ma io gli vorrei pure amazzare.
Lucido. Se vi sentori, vi faranno qualche malo scherzo. E’ getton giú spesso tegoli, travi, ciò che truovano.
Aridosio. Oh! E’ mi debbon guastar tutta la casa?
Lucido. Pensate che e’ non la racconciano.
(Gittan giú de’ tegoli).
Ecco un tegolo. Discostiamci, che noi non abbiam qualche sassata.
Cesare. Io comincio a intender l’inganno.
Aridosio. Oh! Lucido, io ho la gran paura.
Lucido. E voi avete ragione.
Aridosio. Posson eglin dar qui?
Lucido. Messer no.
Aridosio. Quant’è che cominciò questa maladizione? ch’io non ho mai saputo niente.
Lucido. Non lo so. Ma due notte sono ch’io ci passai, che, facean un romore che parea la ruinassino. Allora l’intesi.
Aridosio. Non dir tanto, che tu mi fai paura.
Lucido. Certe volte, dicon questi vicini che suonano e che cantano: ma piú, la notte; e, ’l di, la maggior parte del tempo si stanno quieti.
Cesare. Quest’è la piú bella cosa ch’io mai vedessi.
Aridosio. Com’ho io a fare? Non è egli ben mandarvi tanti che gli ammazzin tutti?
Lucido. Parlate basso di simil cose.
Aridosio. Tu di’ il vero.
Lucido. E chi volete voi che gli ammazzi? Bisogna, piú presto, menarci preti, frati, reliquie e far comandare loro che se ne vadino.
Aridosio. E andrannosene?
Lucido. Risolutamente.
Aridosio. Ma e’ vi potranno tornar dell’altre volte?
Lucido. Cotesto si.