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138 l’aridosia


Tiberio. Starò pur seco un pezzo. Chi gode un tratto non stenta sempre. Lucido, io mi ti raccomando. Pensa tu a qualche cosa che ovvii a tanti mali. Noi, intanto, ce ne andremo qui in casa e aspetteremo Erminio che ci ha detto di venir a desinare con esso noi.

SCENA IV

Lucido solo.

Gli è ben vero che non è cosa che facci piú impazzar gli uomini che l’amore. Tiberio è cosí savio giovane quanto sia in questa cittá. E adesso, accecato, non vede quello si facci: perché nascosamente di villa è venuto qui e non si cura che lo risappi suo padre. E tant’è la rabbia di quel vecchio che io credo lo direderá, s’ei sa che ei sia venuto ed a che fare; perché, né maggior mjsero né maggior ippocrito fu mai. Ei non vuole che Tiberio guardi, non che tocchi, una donna. E lui, d’un santo vantaggio! E, oltre a questo, ha impegnato sé e li amici sua per fare venticinque scudi e, inoltre, ne ha promessi venticinque altri a venti ore: cosa che, s’ei non li ruba, non la può osservare in alcun modo. E parli avere pensato a ogni cosa quando ei dice ch’io vi pensi. Ma, se non fussi Erminio che m’ha comandato che io serva Tiberio come lui proprio, enterrei appunto in questo laberinto! Per Dio, la cosa torna bene: le fatiche e le brighe tocchino a me; e i piaceri a loro. Ma ecco di qua Erminio che m’ha fare un cappello perch’io non ho fatto la sua imbasciata. Dirò d’averla fatta; che le risposte son tutte ad un modo: che sta bene e che si raccomanda a lui. Ma e’ vien parlando. Vogl’intendere quel che dice.

SCENA V

Erminio e Lucido.

Erminio. Che peggior sorte mi potev’egli intervenire? Sorte crudele! Io non credo ch’egli accascili di cento a uno, che, alla prima volta, ingravidi una donna.