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atto primo | 137 |
verrá quaggiú e renderattela. Tu sai come gli è fatto. Se tu la rihai, e’ venticinque scudi sieno tua. E certo, se gran fatto non è, la non sará peggiorata venticinque scudi. E cosí sarai sicuro o d’essere pagato in tutto o di riaver Livia e venticinque ducati vantaggio.
Ruffo. A questo sono io contento: ma non voglio aspettar piú che insino a venti ore.
Tiberio. Sino a quanto tu vuoi, pur che tu mi ti levi dinanzi. To’: annoveragli.
Ruffo. Gli annoverai poco fa, e basta. Ma non ti doler di me; che, se e’ danari non vengono, io farò con tuo padre quanto noi siamo rimasti d’accordo.
Tiberio. Vatti con Dio, in malora. Fa’ quel che ti piace.
Ruffo. Dove t’ho io a trovare? , Tiberio. In piazza.
Ruffo. Addio.
Livia. Oh! E’ mi si è levat’una macina d’in sul cuore.
Tiberio. E a me d’in sull’anima. Oh! Possoti io guardare e toccare senza che ’l Ruffo mi tiri da l’altro canto.
Lucido. Al trovare de’ danari ti voglio!
Tiberio. Qualche cosa sará, Lucido. Se si pensassi tanto alle cose, non si farebbe mai niente. Io so che tu m’aiuterai e penserai a qualche modo che noi gli troviamo.
Lucido. Io penserò pur troppo; ma il caso sarebbe a pensare a qualche cosa che riuscissi. Ma dimmi: tu non ti ricordi di tornare in villa? come pensi tu di farla col tuo padre, s’ei s’avvede che tu sia venuto a Lucca a tante brighe? Ci mancherá questa! avere a placare quella bestia ed, in un medesimo di, avere a trovar venticinque ducati! che tant’è possibile far l’uno e l’altro quanto tener el Ruffo che, passato le venti ore, non vada a gridare a tuo padre e dicali che tu l’hai sforzato e toltoli costei. E, la prima cosa, te la torrá e renderagnene; e tu ne andrai bene, se non ti caccerá via.
Tiberio. Potrá egli mai fare ch’io non mi sia goduta Livia mia?
Lucido. Ei potrá ben fare che tu non la goda mai piú.