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atto primo 133


Marcantonio. Il vo’ chiamare avanti che pigli altro viaggio.

Lucido! o Lucido!

Lucido. Chi mi chiama? Oh Marcantonio! Che comandate?

Marcantonio. Che è di Erminio, che iersera non tornò a cena?

Lucido. Cenò e dormi con Tiberio in casa Aridosio.

Marcantonio. E tu dove vai? a portar qualche imbasciata al munisterio?

Lucido. Che monasterio?

Marcantonio. Oh! Fattene nuovo meco, bestia!

Lucido. E che sapete voi di monasterio? * Marcantonio. Sonne quel che tu.

Lucido. A dirvi il vero, mi mandava a saper s’ella voleva niente.

Marcantonio. In veritá, che Erminio, in questo, mi fa torto; perché tu sai se io lo compiaccio e piú presto l’aiuto nelle sue voglie e ne’ sua amori che sono in qualche parte ragionevoli. Ma questo ha troppo del disonesto. E’ do verrebbe pure avere rispetto all’onore suo e mio: perché il carico è dato a me, che lo lasso fare. E’ par che a Lucca manchino le donne da cavarsi le sue voglie, che e’ si abbi a andare infin ne’ munisteri!

Lucido. Io gli ho detto questo medesimo piú volte: e lui, parte, sei conosce; ma voi sapete, Marcantonio, che l’amor non ha legge. Ed è un gran tempo che gli cominciò a volere bene. E lei è una bellissima figliuola, nobile e virtuosa, che forse, se voi la vedessi, gli aresti piú compassione che non gli avete. E siate certo che prima sarebbe possibil fare diventare Erminio un altro uomo che farli dimenticare questo amore. E vo’ vi dire piú avanti: che l’animo suo sarebbe di pigliarla per moglie.

Marcantonio. Mai piú senti’ dire che le monache si pigliassin per moglie.

Lucido. Oh! La non è monaca, che non è ancor velata; e non vorrebbe essere. Ma la sera, s’ella crepassi: perché l’ha una buona ereditá; e le monache l’hanno adocchiata; e, se ben la mettessi Tali, mai potrebbe uscire del monasterio, tal guardia gli fanno!