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132 l’aridosia


Lucrezia. I’ non vorrei giá che tu fussi strano verso Erminio com’Aridosio verso Tiberio; ma ben vorrei che gli vietassi certe cose. Come sarebbe a dire, i’ho inteso (non so se è vero) ch’egli è innamorato d’una monaca, qua, di Santa Susanna. Part’egli però che sia conveniente far queste cose? le quale ed a Dio ed agli uomini dispiacciono. Sappi che la gli dá un gran carico; ed a te, che lo comporti.

Marcantonio. Di questo non ne so alcuna cosa. E certo, quando e’ fussi vero, non me ne parrebbe molto bene e con ogni rimedio cercherei stórnelo: benché alla gioventú si comporti n piú cose che tu forse non pensi. Ma io ho caro che me n’abbia fatt’avvertito, perché ne voglio ritrovare l’intero; e di poi piglierò quel partito che meglio mi parrá. Ed ecco a punto di qua el suo servo Lucido che sa ciò che e’ pensa e ciò che e’ sogna. Lui, meglio che alcun altro, me lo potrá dire.

Lucrezia. Tu lo faresti prima dire a questa porta. Tu non conosci Lucido.

Marcantonio. Pur proverrò. Ma vanne in casa, che piú da te che da me si guarda: ed io poi ti ragguaglierò.

SCENA II

Lucido e Marcantonio.

Lucido. E’ par che la fortuna sempre si diletti di fare venire voglia agli uomini di quelle cose che son piú difficili a ottenersi. Io non credo che a Lucca sia donna alcuna che non avessi di grazia el fare piacere a Erminio; e lui si è innamorato di costei, la quale, non che lui la possa godere, bisogna che con mille respetti gli parli. Ed ènne guasto, fradicio, morto, che altro non pensa e non parla che Fiammetta.

Marcantonio. E’ parla da sé di questo.

Lucido. Adesso mi manda a vedere come la sta, quel ch’ella fa ed a racomandarsi a lei. Ed, ogni giorno, ho questa gita, per l’amor di Dio e de’ servi suoi.