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PROLOGO

Se voi arete pazienzia, sarete spettatori di una nuova commedia intitulata Aridosia, da Aridosio detta, Aridosio chiamato per essere piú arido che la pomice. Della quale vi conforto a non curarvi di saper l’autore perché gli è un certo omicciatto che non è nissuno di voi che, veggendolo, non l’avessi a noia, pensando che gli abbi fatto una commedia. Dicono ch’egli è di spirito e che gli ha ingegno. Io, per me, non lo credo. E, quando e’ seppe che io venivo a farvi lo argumento, m’impose che io facessi un’imbasciata a tutti: che, se voi lauderete questa sua commedia, sarete causa che ei ne abbia a fare dell’altre; onde vi prega che voi la biasimiate acciò che gli togliate questa fatica. Vedete che cervello è questo! Gli altri, che si afíaticono in comporre, chieggon e pregon di essere lodati e, quando ei non hanno altro remedio, si lodan da loro; e lui domanda di esser biasimato! E questo dice che lo fa per non far come i poeti; ed, a mio iudizio, ha mille ragioni perché ha piú viso d’ogn’altra cosa che di poeta. Ora voi avete inteso di lui tutto quello che se ne può dire. Resta che stiate a vedere questa sua commedia ed alla fine lo satisfaciate, poi che non vi ha a costare altro che parole. L’argumento va in stampa, perché il mondo è stato sempre a un modo; e lui dice che non è possibile trovare cose nuove: si che bisogna facciate colle vecchie. E, quando bene se ne trovassi, dimolte cose vecchie son migliori che le nuove: le monete, le spade, le sculture, le galline. Ècci chi dice anche che le donne vecchie son come le galline. Però non abbiate a sdegno se, altre volte avendo visto venir in scena un giovan innamorato, un vecchio avaro, un servo che inganni el padrone e simil cose (delle quali non può uscir chi vuol far commedie), di nuovo gli vedrete. Ed io, per non vi infastidire con l’argumento, che lungo sarebbe, men tornerò drento e dirò d’avervel recitato. E voi, se starete attenti, caverete el subietto da mona Lucrezia e Marcantonio, marito e moglie, che di qua ne vengono. Addio.