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atto quinto 119

appetito, a questa volta, mi ti raccomando. Udtfe, valentuomini miei galanti. State a udir, donne belle, dolci, zuccherate, sode, fresche, bianche, rosse, gialle, calandrine. Messer Giannino, che si chiama or Ioandoro... ah! ah! ah!... mi vuol dar mangiare il suo piú volentieri che mi desse mai. Guglielmo, o Pedrantonio che noi vogliam dire, m’ha fatto spenditore, maestro di casa, canavaio per piú di quindici di; che vuol tener corte bandita.

Agnoletta. Che vuol dir questo? che può essere? Lassami non ne perder parola.

Sguazza. Ora che ne dite, donne? Voltatevi a me. Che mirate costá? Mirate me, che importa piú. Che ne credete? Eh! le mie saprosine melose! Chi mi vuol prestar di voi il suo corpo? Oh! Se si potesser prestare, quanti n’empirei! Ma lassami andare a trovar messer Ligdonio e darli una buona nuova; che gli vogliano renunziare secento scudi d’entrata. E sai se li saprá spendere! So che i beccai, poliamoli, speziali n’aranno la parte loro. Sará prete. Non vi vo’ dir altro.

Agnoletta. Qualche gran cosa è questa. Mi voglio scoprire. Che ci è, Sguazza? Tu sei molto allegro.

Sguazza. Addio, Agnolettina, bellina, pizzicarina.

Agnoletta. Tien’le mani a te. Che credi fare?

Sguazza. Toccarti, un tratto, coteste poccine.

Agnoletta. Orsú! lassami stare. Mi venga la lebbra manicatola , ch’io ti darò.

Sguazza. Oh! Son sodine. Quanto tempo hai, se Dio ti guardi, la mia Agnoletta?

Agnoletta. Quand’io mi partii da Montalcino, che v’eran li spagnuoli, avevo quindeci anni.

Sguazza. Oh! Che facevi li?

Agnoletta. Oh! Io son da Montalcino, io.

Sguazza. E stestivi al tempo delli spagnuoli?

Agnoletta. Vi stetti due mesi.

Sguazza. Fra li spagnuoli, ch? Va’ lá. 11 resto so io.

Agnoletta. Eh! Io mi salvai, io. Ma ti so ben dire che noi donne, se non ci veniva il marchese a fargli andar via, a longo andare ci capitavamo male.