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116 | l’amor costante |
Messer Giannino. Mio padre, sia fatto, se ne séte contento.
Guglielmo. Me ne contentarci tanto quanto di cosa ch’io facesse mai. Ma mi par far torto a messer Ligdonio che m’aveva messo mezzano, in questa cosa, per sé proprio.
Messer Giannino. Messer Ligdonio se ne curará poco. E, se voi volete, gli potrem dare, in questo cambio, tutti i miei benefici che gli fruttaranno meglio che seicento scudi l’anno, e tutti son di pensioni: che, per esser egli piú di tempo che io, sará facilissima cosa il farlo.
Guglielmo. Ben dici. E, se ben mi ricordo, m’ha mostrato sempre d’aver voglia d’esser prete; che quel che gli faceva voler moglie era il bisogno della dote.
Messer Giannino. Dunque darò la mia parola a maestro Guicciardo.
Guglielmo. Daglila, ch’io ne son contentissimo.
Messer Giannino. Maestro Guicciardo, datemi la mano. Sia fatto il parentado fra noi. E, per non indugiar molto, voglio che domane si faccin le nozze.
Maestro Guicciardo. A posta vostra. E cosí vi prometto; con questo patto: che se ne contenti lei.
Messer Giannino. Cosí sia. Non la pigliarci altrimenti.
Maestro Guicciardo. Sará buon, dunque, ch’io mandi questa sera al munistero dov’era andata per aspettare el mio ritorno di Roma.
Messer Giannino. Mandate in ogni modo.
Maestro Guicciardo. Che vuol dir che voi séte cosí senza cappa? Ve ne volsi domandar, la prima cosa.
Messer Giannino. El tutto intenderete poi in casa.
Guglielmo. Entriamo dunque dentro.
Messer Giannino. Entrate. E io me n’andarò fin qui in casa del capitano per ritrovarmi alla pace con quelli altri compagni; che mi debbono aspettare, perch’io li dissi che sarei lá presto.
Guglielmo. Mi ci vo’ trovare ancor io come quel che fui cagione della guerra. Voi, maestro Guicciardo, entratevene in casa a dar la buona nuova a Ginevra e Ferrante che aspettano la morte; che, or ora, saremo da voi.