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atto quinto 115

trovarvi poi a sangue freddo; e, se pur vi vedesse ostinato in tal cosa, allora non mancar di farvi questo piacere. Certo l’animo mi diceva che voi ve ne pentireste.

Guglielmo. Eh Dio! Che mi dite?

Maestro Guicciardo. Questo è certissimo: la bevanda piú presto fará lor utile che danno alcuno.

Guglielmo. Oh cieli! Quanta consolazion sento ora di tutto il ben che m’è venuto oggi!

Messer Giannino. O giorno felicissimo, sempre t’arò in memoria mentre ch’io viverò.

Messer Consalvo. Quanta felicitá è la nostra, oggi!

Guglielmo. Maestro Guicciardo, non vi farò molte parole. Io mi vi conosco tanto obligato ch’io non sarò mai contento, s’io non vi ristoro in qualche parte.

Messer Giannino. E di me pensatevi ch’io v’abbi a esser sempre buon figlio.

Messer Consalvo. Fra voi e me, maestro Guicciardo, non ci accade far cerimonie; che ci conosciam per altri tempi.

Maestro Guicciardo. Io vi ringrazio tutti e accetto le proferte vostre per quando m’occorrerá. E, al presente, quando voi vi contentaste, arei caro domandarvi una grazia: non per obligo, ma per cortesia vostra; se giudicarete, però, che quel ch’io domando sia cosa ragionevole.

Guglielmo. Pur che noi la possiam fare, lassate poi fare a noi.

Messer Giannino. Tanto dico io. Dite.

Maestro Guicciardo. Io mi penso che, non avendo voi altri figli maschi che quest’uno, non aviate da consentire ch’ei si viva prete, com’io intendo che gli è. Però, piacendovi di dargli moglie e volendo egli tórla, mi trovo, come sapete, una figliola unica in questo mondo e desiderarci moltissimo lei, con tutta la mia ereditá, mettere in casa vostra; e tanto piú che, innanzi ch’io sapesse che fusse vostro figlio, desideravo questo medesimo, come egli sa. Ed ancor voi lo sapete; che, parlandomene voi stamattina per messer Ligdonio Caraffi, vi scopersi intorno a questo l’animo mio.