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106 l’amor costante


Lattanzio. Molto ce ne contentiamo. Andiamo.

Messer Giannino. Andate ancor voi, di grazia, e io verrò adesso adesso; che voglio un poco rimaner con mio padre e con mio zio.

Spagnuolo. Muy soy contiento.

Todesco. Andare io a brinz en casa del capitan.

Capitano. Entramos.

Messer Giannino. La prima cosa, padre, vi domando perdono di avervi voluto offendere e far villania, non conoscendovi.

Guglielmo. Ed il medesimo hai da perdonare a me che con tanto odio ti venivo incontra.

Messer Consalvo. Non hanno d’accader questi perdoni, perché voi non vi conosciavate.

Messer Giannino. Male ci potevamo conoscere, che di sette anni mi divisi da voi.

Messer Consalvo. Perché non vi steste, Pedrantonio, in Genova, come voi mi diceste?

Guglielmo. Perché mi parse cittá di troppa conversazione e da esservi facilmente conosciuto. Ma ditemi, messer Consalvo: che è di mia figliuola Ginevra?

Messer Consalvo. Eimè, Pedrantonio! Sono molt’anni che successe un caso molto miserabile.

Guglielmo. Oh Dio! Che sará? Dite presto.

Messer Consalvo. Essendo Ginevra giá in etá da maritarsi, mi fu domandata per moglie da un Ferrante di Selvaggio, invero molto gentil giovene. Ma, per esser lui della casada nostra nimica, non volsi mai dargliela. E, per questo, el traditore la tolse, una notte, segretamente e, per forza ponendola in una barchetta, la portò via; né mai poi s’è saputo nuove dell’uno né dell’altro.

Guglielmo. Ah Dio! Che mi dite? Ha voluto la Fortuna condirmi d’amaritudine questa dolcezza ch’io sento di vedervi. Povera Ginevra! quanto desideravo di rivederla!

Messer Giannino. Dunque non ho da riveder mia sorella? Ahi Fortuna!

Messer Consalvo. Delle cose irreparabili bisogna risolversi e attendere a quel ch ’è presente.