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atto quarto 93

sdegnato, mi deliberai di far quel conto di lei ch’ella faceva di me. Come costei vidde questo, subito mi mandò la fante a chiedermi perdono e a raccomandarmisi; ma io, che m’era montata la mosca, non l’arei piú stimata, s’ella m’avesse coperto d’oro. E cosi, spedito ch’io fui delle mie faccende, me ritornai a Salerno. Date qua la mano. Volete voi altro? che la poveretta stava tanto mal di me che si vesti da uomo e vennemi a trovare insino a Salerno, che ci sono le centinaia di miglia. La quale com’io vidi, non potei fare ch’io non ne avessi compassione.

Panzana. Oh! ohu! ohu! ohu! Lassate passar, brigata. Aprite, donne, le finestre.

Messer Ligdonio. Bellissimo caso è stato chisto.

Roberto. Parvi ch’io gli facessi el dovere? che stava mal di me e faceva tanto della schifa! E generoso atto e da gentiluomo fu tenuto ch’io la ricevesse.

Messer Ligdonio. Voglio dicervi lo mio, se volite.

Roberto. Dite.

Messer Ligdonio. Voi dovete esser informato della natura delle donne, che, quando una de loro pò sapere che alcuno sia mal voluto dall’autre donne, subito le mette odio essa ancora; e cussi, per lo contrario, quando sanno che sea amato, pare ca buoglino fare a chi nante se lo piglia: perché sonno invidiose, e enterviene d’esse corno delle cerase, che, corno tu cominze a pigliar grazia con una, tutte te vengono a priesso.

Roberto. È verissimo.

Messer Ligdonio. Cussi intervenne a me, non ha molto tiempo: che era na vicina mea la quale sapea troppo bene ca io era in grazia de molte femene e averia voluto essa ancora pigliare la pratica mea. E, per comenzare l’amicizia, mannò, un giorno, a pregareme ch’io le mannasse quarcuna delle composizione meie; perché me deletto molto de componere e faccio assai bene. Io le mannai na mia no veletta, che avea fatta de frisco, la quale era piena de multi casi affettuosi de amore; li quali leggendoli, quilla s’ennamorò cussi bestialmente de me che me mannò subito a pregare, per l’amore de Dio, ca io li iesse a parlare. Quanno io fui con essa, non appe