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92 | l’amor costante |
Roberto. Non dirò questo per vantarmi, ma io n’ho all’anima assaissime. E, s’io vi contasse i bei casi che mi son venuti a le mani, vi farei maravigliare.
Messer Ligdonio. Quanto aggio a caro esserme abbatuto oie con voi! perché m’entienno ancora io de quest’arte multo bene e averia da contarvi medesimamente mille belle cose che me sonno accadute. E aggio speranza ancora che me aggiano d’accadere ogni iorno perché, fin ca non me comienza a venire quarche pilo canuto, pare che non sia in tutto sconvenevole far l’amore.
Panzana. E’ non si vuol cavarseli e dipegnarseli, quando che e’ vengono.
Roberto. Se non vi dispiace, vi vo’ dir uno de’ miei casi.
Messer Ligdonio. De grazia. E dopo ve ne dirò n’autro io ca ve deietterá.
Panzana. Io non darei oggi questo piacere per buona cosa.
Roberto. Trovandomi, l’anno passato, in Genova per certi negozi del principe, nel tempo che papa Paulo andò a Civitavecchia a benedire l’armata, cominciai a far l’amore con una fra l’altre di quelle gentildonne e non mancai mai, in tutto quel tempo che ne stei male, di far ogni officio di buon servitor suo. Io li facevo sberettate per fino in terra, inchini bellissimi, corteggiamenti del continuo. Se l’andava alla messa, io drietoli; se si partiva di chiesa, e io me ne partivo; e rigiognevola, e ritornavo indrieto, voltavo da tutte le strade dove voltava lei e sempre con sospiri e con la beretta in mano/Mascare e correrie di cavalli non mancavan mai. Mai si faceva alla finestra che io non fusse su qualche murello; mai si veniva in su la porta ch’io non fussi li appresso. Manda vali spesso presenti, perch’io son molto liberal nell’amore. Non mi vantavo mai se non con gente che non le potesse venire all’orecchie. E cosí durai piú d’un mese fuor del costume mio, perché ero avezzo che, in dieci o quindici giorni al piú, avevo sempre avuto l’intento de’ miei amori; né mai, in questo tempo, mi fece un minimo favoruzzo. Or recandomi io nell’animo la sua scortesia, tutto