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atto quarto | 89 |
Panzana. Come diavol la potrò cor cosí a ponto?
Messer Ligdonio. Oh! No empuorta cosí alla menuta; basta na certa descrezione.
Panzana. Ecco: a questo modo?
Messer Ligdonio. Quisso, per ora, non fa caso; mate dico quanno nce sta quarcheduno.
Panzana. Lassate poi far a me. C impazzerebbeno i granchi con questo bue.
Messer Ligdonio. Sai, Panzana, quillo che aggio penzato?
Panzana. Non, io; ma me lo indovino.
Messer Ligdonio. Che cosa t’indovini?
Panzana. Che voi vorreste esser a’ ferri, stanotte, con Margarita.
Messer Ligdonio. Ah! A ponto! Tutto lo contrario. Aggio fatto penzamiento lassarla annare e appiccarmi a na certa ladrina ca ier a mane me fece no gran favore. E boglio che l’annamo a vedere mò mò.
Panzana. Mi maravigliavo che durasse troppo. Fidatevi, donne, di questi cervelli! Che favor vi fece, se gli è licito?
Messer Ligdonio. Stava a veder messa appresso quilla; e, corno sbadegliai, sbadegliò essa ancora. E te saccio dicere che lo sbadegliò s’appiccia fra quille perzone che se vogliono bene. * Panzana. Oh che favori mirabili! Che beccarsi di cervello!
Messer Ligdonio. Che è quillo che dice?
Panzana. Dico che fu quanto può esser bello. Ma come è bella quest’altra dama?
Messer Ligdonio. Bella quanto la stella Lucifer.
Panzana. Lucifero, cioè ’l diavolo.
Messer Ligdonio. Appartate mò li doi passi che t’aggio detto; che gente veggo venir de qua.