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90 il pedante

cognosco che questi signori, come ti hanno dato moglie, par loro di averti ristorato d’ogni tua fatica e, il piú delle fiate, te lla danno a pruova. Oltr’a ciò, non fui si tosto giunto qui in Roma ch’io arsi e ardo nell’amore di una belissima giovane e si fattamente ch’altro che l’amata vista di suoi begli occhi sereni, che ’l sole di splendore avanzano, veder non desidero. E giá mi trovo tanto innanzi nel sfrenato appetito trascorso e seco venuto a tale (per esser povera) che spero in breve venir a capo di qualche mio buon disegno. Voglio andar, prima che sia piú tardi, sino in Banchi. Parte vederò se mi fossino ancor venuti danari da casa. O Rufino!

Rufino. Signore, che volete?

Curzio. Vien fuori e piglia la cappa; e spacciati. Che cosa fai?

Rufino. Andiamo. Io sono in ordine.

Curzio. Dimmi un poco, or che me ricordo: parlasti tu mai con la serva di Iulia?

Rufino. Io vel dissi pur iersera; ma voi non me ci desti orecchie.

Curzio. Io avevo altro in capo, a dirti el vero. Ma pur, che ti disse?

Rufino. Ella è mezza contenta; e spero... Basta.

Curzio. Come mezza contenta? Fa’ ch’io te intenda.

Rufino. Volete altro, che si contentará di fare quanto vorrete voi?

Curzio. Dio lo voglia, ch’io, per me, non lo credo.

Rufino. Sará cosí certo. Ma...

Curzio. Ma che? Che non parli? Che vói dire?

Rufino. Voglio dire che ci è peggio, se Dio non vi aiuta.

Curzio. Come peggio?

Rufino. Peggio, signor si: ch’ella ha un altro innamorato.

Curzio. Un altro innamorato? Va’, ch’io non tei credo.

Rufino. Non è articolo di fede; ma ve ricordo ch ’a tal otta lo potrestivo credere, che vi rincresceria.

Curzio. Come che me rincresceria? Parlarne chiaro.

Rufino. La chiarezza è questa: che ci è chi la vole per moglie.

Curzio. E chi è questo prosuntuoso?