Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/66

58 la calandria


Fessenio. Sono un... presso ch’io non ti dissi. Or io darò una volta e tornerò a Fulvia.

Samia. Ben farai.

Fessenio. Se Fulvia sapesse quel ch’io so, non se cureria di spirti; perché Lidio brama piú d’esser con lei che essa non fa e oggi vuol trovarsi seco. E di mia bocca glie ne voglio dire io, perché so mi donerá qualche cosa. Però noi dissi a Samia.

Lassami partire di qui perché, vedendomi Fulvia, penseria che io fermo mi ci fussi per vedere il suo negromante; che esser deve quel che esce di casa.

SCENA XX

Ruffo negromante solo.

La cosa procede bene. Io spero ristorare le miserie mie e uscire di questi stracci perché la mi ha dati di buon denari. Non potrei piú bel giuoco avere alle mani. Costei è femina ricca e, per quel che io comprendo, piú innamorata che savia. Se io non me inganno, credo che trarrá ancor da maladetto senno; né io di minor ventura avevo bisogno. Vedi, vedi che pur li sogni, alle volte, son veri. Questo è la fagiana che, stanotte, sognai aver presa. Mi parea trarle molte penne della coda e porle sopra il cappel mio. S’ella se lasserá prendere, che mi pare ornai di si, io la spinnerò di maniera che bene ne staranno un pezzo i fatti miei. Per mie’ fé, che anche io mi saperrò dar buon tempo e vorrò del buono. Oh! oh! che ventura! Ma che donna è quella che mi accenna? Non la conosco. Lassami accostar piú a lei.

SCENA XXI

Ruffo negromante, Fannio servo vestito da donna.

Ruffo. Oh! oh! oh! Fannio, tanto te ha questo abito trasfigurato che non ti ricognoscevo.

Fannio. Non son io buona robba?