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atto terzo | 57 |
Ruffo. Consolato hai tu me con quel barbafiorito.
Fannio. Piacemi che tu noi sappi nominare perché, volendo, noi saprai poi ridire.
Ruffo. Or vattene a Lidio; e vestitevi. Io me ne vo a Fulvia e dirò che ara lo attento suo.
Fannio. Adunque, io sarò la serva.
Ruffo. Ben sai. Siate in ordine quando a voi tornerò.
Fannio. In un tratto. Ben feci a trovare i panni ancor per me.
SCENA XVIII
Ruffo negromante, Samia serva.
Ruffo. Sin qui la cosa va in modo che li cieli non me l’ariano potuta ordinar meglio. Se Samia è per di lá arrivata a casa, Fulvia deve aspettarmi. Mosterrolle lo spirito aver fatto tutto e che le bisogna, con questa immaginetta, dire alcune parole e far certe cose che li parranno tutte a proposito d’incantesimi. E ricorderolle che di cosa successa e seguita in questo amore suo e ch’io seco faccia, fuor che alla serva sua, con altri non ne parli. Farò tutto subito e fuor me ne tornerò. E vedi in su l’uscio comparsa Samia.
Samia. Entra presto, Ruffo, e va’ da Fulvia lá in quella camera terrena; perché, su di sopra, è Calandro pecora.
SCENA XIX
Samia serva, Fessenio servo.
Samia. Ove vai, Fessenio?
Fessenio. Alla padrona.
Samia. Non puoi ora parlarli.
Fessenio. Perché?
Samia. È col negromante.
Fessenio. Dch! lassami entrare.
Samia. In fine, non si può.
Fessenio. Son tutte bubole.
Samia. Bubole son le tua.