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atto terzo | 55 |
Lidio femina. Bee’, si: come l’altre volte.
Samia. Oh che nuova porto io a Fulvia! Non voglio star piú teco. E tornerommene per la strada di dreto perché altri non mi veda, partendo da te, entrare in casa. Addio.
Lidio femina. Addio.
SCENA XVII
Lidio femina, Fannio servo, Ruffo negromante.
Lidio femina. Hai tu udito, Fannio?
Fannio. Si; e notato quel «come suoli». Certo, peraltro */ sei còlto in iscambio.
Lidio femina. Cosi è vero.
Fannio. Sará bene avvertirne Ruffo che a punto a noi torna.
Ruffo. Or be’, che vuoi fare?
Lidio femina. Ti par cosa da lassare?
Ruffo. Eh! ch! ch! L’amico si risente. E ne hai bene ragione, Lidio, che, per certo, l’è un sole.
Lidio femina. La conosco e so dove sta a punto.
Fannio. Se ne trarrá piacere.
Ruffo. Ed utile.
Fannio. Se io, Ruffo, ben le tuo’ parole notai, tu dicesti dianzi che, altro mezzo non giovandoli, ella al tuo ricorre: da che comprendo che ha tentato piú la pratica. A noi di ciò non fu mai parlato. Però è da creder che Lidio, qui, sie còlto in y iscambio per un altro, come oggi ha fatto la sua serva: per il che è necessario che tu, a cautela, dica a Fulvia, per parte dello spirto, che di cosa passata non parli mai piú; perché il fatto potria scoprirsi e gran scandalo riuscirne. Avvertisci bene.
Ruffo. Ben notasti; saviamente ricordi. Cosí farò. Orsú! Qui non è da dire altro. A’ fatti. Io a lei me ne vo; voi in ordin vi mettete.
Lidio femina. Va’ e torna, che in punto ci troverrai.
Fannio. Lidio, aviati. Io, or or, drieto a te ne vengo. Ruffo, duo parole.