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atto terzo 51

non mi ti sei mai appressato: come quello che, avendo a scaricare le some altrove, volevi arrivare fresco cavalieri in battaglia. In fede mia, non so come io mi tengo che io non ti cavi gli occhi. E forse che non pensavi ascosamente farmi questo inganno? Ma, per mie’ fé, tanto sa altri quanto tu. E, a questa ora, in questo abito, d’altri non fidandomi, io propria son venuta per trovarti. E cosí ti meno, come tu sei de- ^ gno, sozzo cane, per svergognarti e perché ognuno prenda compassione di me che tanti oltraggi da te sopporto, ingrato! E pensi tu, dolente, se io rea femina fussi come tu reo omo sei, che modo mi mancasse da sollazzarmi con altro come tu con altra ti sollazzi? Non credere: perché io né si vecchia né si brutta sono che rifiutata fussi, se piú a me stessa che alla tua gaglioffezza rispetto non avessi avuto. Vivi sicuro che ben vendicata mi sarei contro a colei che a canto ti trovai. Ma va’ pur lá. Non abbia mai cosa che mi piaccia, se non te ne pago e di lei non mi vendico.

Calandro. Hai finito?

Fulvia. Si.

Calandro. Col mal anno, lassa che mi corrucci io, non tu, dispettosa! che m’hai cavato del paradiso mondano e toltomi ogni mio sollazzo. Fastidiosa! Tu non vali le scarpette vecchie sue, che la mi fa piú carezze e meglio mi bacia che tu non fai. Ella mi piace piú che la zuppa del vin dolce; e luce piú che la stella Diana; e ha piú magnificenzia che la Quintadecima; e è piú astuta che la fata Morgana. Si che tu non te l’aresti inghiottita, no, malvagia femina che tu sei! E se tu mai le fai male, trista a te!

Fulvia. Orsú! Non piú! In casa, in casa. Apri. Olá! Apri.

SCENA XIII

Fessenio servo solo.

O Fessenio, che è questo che tu veduto hai? O Amore, quanto è la potenzia tua! Qual poeta, qual dottore, qual filosofo potria mai mostrare quelli accorgimenti, quelle astuzie che fai tu a