Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/56

48 la calandria


Fulvia. Tu intendi. Vo a trovar Lidio, Tu resta qui; e tien l’uscio serrato, mentre che io vo e torno.

Samia. Cosí farò. Guarda come va!

SCENA VII

Fulvia sola.

Nulla è, certo, che Amore altri a fare non costringa. Io, che giá sanza compagnia a gran pena di camera uscita non sarei, or, da amor spinta, vestita da uomo fuor di casa me ne vo sola. Ma, se quella era timida servitú, questa è generosa liberta. A casa sua, benché alquanto discosto sia, me ne dirizzo, che ben so dove sta. E farò lá sentirmi, che far lo posso; perché altri non vi è che la sua vecchiarella e forse anche Fessenio, a’ quali tutto è noto. Nessuno mi conoscerá: onde questa cosa non si saprá giá mai; e, se pur si dovessi sapere, egli è meglio fare e pentirsi che starsi e pentirsi.

SCENA VIII

Samia sola.

Ella va a darsi piacere; e, dove io la biasimava, or la scuso e laudo perché chi amor non gusta non sa che cosa sia la dolcezza del mondo ed è una bella bestia. So ben io che altro ben non sento, se non quando mi trovo col mio amante Lusco spenditore. Semo in casa soli ed egli è qui nella corte. Meglio è che, cosí drento all’uscio serrato, ci sollazziamo insieme. La padrona m’insegna che anch’io mi dia bel tempo. Matto è chi non sa pigliare e’ piaceri quando può averli con ciò sia che il fastidio e la noia, sempre che altri ne vuole, sieno apparecchiati. Luuusco!