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atto terzo 41


Fessenio. Vi è, anima mia bella, robba da te.

Meretrice. Che?

Fessenio. Sete e panni.

Meretrice. Di chi sono?

Fessenio. Di colui con chi sguazzar dèi, viso bello.

Meretrice. Oh! e me ne dará qualche cosa?

Fessenio. Si, se farai ben quel che t’ho detto.

Meretrice. Lassa pur governallo a me.

Fessenio. Fa’ che, sopra tutto, tu ti ricordi, nota, di chiamarti Santilla e di tutte l’altre cose che io t’ho detto.

Meretrice. Non mancherò d’un pelo.

Fessenio. Altrimenti non aresti un baghero.

Meretrice. Tutto farò benissimo. Ma oh! oh! oh! Che voglian questi sbirri dal facchino?

Fessenio. Oimè! Salda, cheta! Ascolta.

Sbirri. Di’ su: che è qui drento?

Facchino. Mò che soie mi?

Sbirri. Sei stato in doana?

Facchino. Non mi.

Sbirri. Che c’è drento? Di’ sú.

Facchino. Non l’ho visto o verto mi.

Sbirri. Dillo, poltron!

Facchino. El me fu deccio che ’l ghera seda e pagni.

Sbirri. Sede?

Facchino. Madesine.

Sbirri. È chiavato?

Facchino. E’ crezo de no mi.

Sbirri. Le son perdute. Posa giú.

Facchino. Eh! no, misser.

Sbirri. Posa, poltroni Tu vorrai che io ti soni, si?

Fessenio. Oimè! oimè! Lava male. Spacciato è il fatto nostro; ogni cosa è guasta; tutto è scoperto; ruinati siamo.

Meretrice. Che cosa è?

Fessenio. Rotto è il disegno.

Meretrice. Parla, Fessenio: che c’è?

Fessenio. Aiutami, Sofilla.