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34 | la calandria |
Calandro. ... or...
Fessenio. ... te la...
Caland.ro. ... te la...
Fessenio. ... do.
Calandro. Oh! oh! oh! ohi! ohi! oimè!
Fessenio. Tu guasteresti il mondo. Oh che maladetta sia tanta smemorataggine e si poca pazienzia! Ma, potta del cielo, non ti dissi pure ora che tu non dovevi gridare? Hai guasto lo ’ncanto.
Calandro. El braccio hai tu guasto a me.
Fessenio. Non ti puoi piú scommetter, sai?
Calandro. Come farò, dunque?
Fessenio. Torrò, in fine, forziero si grande che vi entrerai intero.
Calandro. Oh! cosí si. Va’ e trovalo in modo che io non mi abbia a scommettere, per l’amor di Dio! perché questo braccio m’amazza.
Fessenio. Cosi farò in un tratto.
Calandro. Io anderò in mercato, e tornerò qui subito.
Fessenio. Ben di’. Addio. Sará or ben ch’i’ trovi Lidio e seco ordini questa cosa della quale ci fia da ridere tutto questo anno. Or vo via sanza parlare altrimenti a Samia che lá su l’uscio veggo borbottare da sé.
SCENA VII
Samia serva, Fulvia.
Samia. Come va il mondo! Non è ancora un mese passato che Lidio, della mia padrona ardendo, voleva ad ogni ora esser seco; e poi che vidde lei bene accesa di lui, la stima quanto il fango. E, se a questa cosa remedio non si pone, certo Fulvia ci fará drento error di sorte che tutta la cittá ne sará piena. E ho fantasia che li fratelli di Calandro, fin da mò, alcuna cosa non abbino spiato, perché altro non stima, altro non pensa e d’altro non ragiona che di Lidio. Bene è vero che chi ha