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approssimativamente, pur troppo, giacché di molte fra esse ignoriamo, fin ora, il preciso anno della composizione.

La punteggiatura, quanto mai arbitraria ed irrazionale nelle stampe del Cinquecento, ho rinnovato interamente. Del sistema ortografico nulla ho da dire perché è quel medesimo che fu adottato per tutti i volumi degli Scrittori. Piuttosto è necessario che io renda conto del come mi son comportato rispetto alle parti spagnuole o dialettali che si trovano assai di frequente nelle nostre commedie. Per questo lato (mi limito a discorrere dello spagnuolo, intendendosi che tutto ciò che dico di esso valga, benché in minor proporzione, anche per i vari dialetti italici), le stampe del Cinquecento ci offrono lo spettacolo di una scapigliata anarchia. Troviamo «io» e «yo»; «estoi» e «estoy»; «ablar» e «hablar»; «che» e «que» ; «debaxo» e «debascio» e «debajo» ; «magnana» e «mañana» ; «engannar» e «engagnar» e «engañar» ; «acer» e «hacer» e «azer» e «hazer» e «fazer» ; «vieio» e «viejo» ; «mui» e «muy» ; «nocce» e «noche» ; «alla» e «agliá» ; «a» e «á» ; «á chi» e «á qui» e «a qui» e «aqui» e «aqui» ; «por que» e «porque»; «tan bien» e «tambien»; e cosí via discorrendo. Di fronte a tale moltiplicita di espressioni grafiche che cosa dovevo fare? Dovevo ridurle, tutte ad un’espressione unica e corretta e scrivere, per es., in tutti i casi, «yo», «hablar», «que» , «mañana» , «hacer» , «muy» , «noche» , «allá»? oppure dovevo mantenere questo strano ma pur significativo disordine? Mi parve, in principio, che fosse miglior partito attenersi al primo sistema; poi, dopo avere assai dubitato e riflettuto, ho finito coll’appigliarmi al secondo. E le ragioni son queste. Innanzi tutto, le molte incertezze ortografiche possono esser proprie non tanto del tipografo quanto dello stesso autore e indicare la sua maggiore o minor conoscenza e la sua piú o meno esatta pronunzia dello spagnuolo; né è male, anzi è bene, che di questa sua conoscenza e pronunzia restino, anche nella nostra edizione, le tracce. In secondo luogo, può ben darsi che l’autore abbia inteso di usare promiscuamente parole italiane (per es. «io», «engannar») e parole spagnuole (per es. «yo», «engagnar» o «engañar»): sicché, quando si adoperasse una sola grafia, potremmo correre il rischio di allontanarci involontariamente dal suo stesso pensiero. Il Piccolomini, infatti, dichiara nelle sue Annotazioni alla Poetica d’Aristotele di avere «interposto», nell’Amor costante e nell’Alessandro, «qualche scena in lingua spagnuola italianata, accioché