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atto quinto 393

Pasquella. Un’altra? Dico lei. Flamminio, sapete bene che porco pigro non mangia mai pera marce.

Flamminio. È certo?

Pasquella. Certissimo. Io son stata presente a ogni cosa; io gli ho veduto dare l’anello, abbracciarsi, baciarsi insieme e farsi una gran festa. E, prima che gli desse l’anello, la padrona gli aveva dato... so ben io.

Flamminio. Quanto ha che questo fu?

Pasquella. Adesso, adesso, adesso. Poi mi mandorno, correndo, a dirlo a Clemenzia e a chiamarla.

Clemenzia. Digli, Pasquella, ch’io starò poco poco a venire. Va’.

Lelia. O Dio, quanto bene insieme mi dai! Io muoio d’allegrezza.

Pasquella. Sta’ poco, che io ancora ho tanto da fare che guai a me! Voglio ire adesso a comprare certi lisci. Oh! Io m’ero scordata di domandarti se Lelia è qui in casa tua; che Gherardo gli ha detto di si.

Clemenzia. Ben sai che la v’è. Vuol forse maritarla a quel vecchio messer Fantasima di tuo padrone? che si doverebbe vergognare.

Pasquella. Tu non conosci bene il mio padrone: che, se tu sapesse come gli è fiero, non diresti cosi, eh!

Clemenzia. Si, si; credotelo: tu ’l debbi aver provato.

Pasquella. Come tu hai fatto il tuo. Orsú! Io vo.

Flamminio. A Gherardo la vuol maritare?

Clemenzia. Si, trista a me! Vedi se questa povera giovane è sventurata.

Flamminio. Tanto avesse egli vita quanto Pavera mai. In fine, Clemenzia, io credo che questa sia certamente volontá di Dio che abbia avuto pietá di questa virtuosa giovane e dell’anima mia; ch’ella non vada in perdizione. E però, madonna Lelia, quando voi ve ne contentiate, io non voglio altra moglie che voi; e promettovi, a fé di cavaliere, che, non avendo voi, non son mai per pigliar altra.

Lelia. Flamminio, voi mi séte signore e ben sapete, quel