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atto quinto | 391 |
da quella tale egli era poco amato, per fargli servizio, abban-) donò la casa, suo padre e pose in pericolo l’onore; e, vestita da famiglio, s’acconciò con quel suo amante per servitore.) Flamminio. È accaduto in Modena questo caso?
Clemenzia. E voi conoscete l’uno e l’altro.
Flamminio. Io vorrei piú presto esser questo aventurato amante che esser signor di Milano.
Clemenzia. E che piú? Questo suo amante, non la conoscendo, l’adoperò per mezzana tra quella sua innamorata e lui; e questa poveretta, per fargli piacere, s’arrecò a fare ogni cosa.
Flamminio. Oh virtuosa donna! oh fermo amore! cosa veramente da porre in esempio a’ secoli che verranno! Perché non è avvenuto a me un tal caso?
Clemenzia. Eh! In ogni modo, voi non lasciareste Isabella.
Flamminio. Io lasciarci, quasi che non t’ho detto Cristo, per una tale. E pregoti, Clemenzia, che tu mi facci conoscer chi è costei.
Clemenzia. Son contenta. Ma io voglio che voi mi diciate prima, sopra alla fede vostra e da gentiluomo, se tal caso fusse avvenuto a voi, quello che voi fareste a quella povera giovane e se voi la cacciareste, quando voi sapesse quello che la v’ha fatto, se l’uccidereste o se la giudicareste degna di qualche premio.
Flamminio. Io ti giuro, per la virtú di quel sole che tu vedi in cielo, e ch’io non possa mai comparire dove sien gentiluomini e cavalieri par miei, s’io non togliesse prima per moglie questa tale, ancor che fusse brutta, ancor che la fusse povera, ancor che la non fusse nobile, che la figliuola del duca di Ferrara.
Clemenzia. Questa è una gran cosa. E cosí mi giurate?
Flamminio. Cosí ti giuro; e cosí farei.
Clemenzia. Tu sia testimonio.
Crivello. Io ho inteso; e so ch’egli il farebbe.
Clemenzia. Ora io ti vo’ far conoscer chi è questa donna e chi è quel cavaliere. Fabio! o Fabio! Vien giú al signor tuo che ti domanda.