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atto quarto 383


SCENA VIII

Flamminio, Pasquella e Gherardo.

Flamminio. Pasquella, quant’è che ’l mio Fabio non fu da voi?

Pasquella. Perché?

Flamminio. Perché gli è un traditore; e io lo gastigarò. I E, poi ch’Isabella ha lasciato me per lui, se l’ara come merita. Oh che bella lode d’una gentildonna par sua, innamorarsi d’un ragazzo!

Pasquella. Uh! Non dite cotesto, che le carezze ch’ella gli fa gli le fa per amor vostro.

Flamminio. Digli che ancora, un di, se ne pentirá. A lui, com’io lo truovo (i’ porto questo coltello in mano a posta), gli vo’ tagliar le labbra, l’orecchie e cavargli un occhio; e metter ogni cosa in un piatto; e poi mandarglielo a donar. Vo’ che la si sfami di baciarlo.

Pasquella. Eh si! Mentre che ’l cane abbaia, il lupo si pasce.

Flamminio. Tu il vedrai.

Gherardo. Oimè! A questo modo son giontato io? a questo modo, ch? Misero a me! Quel traditor di Virginio, traditorac- ~~ ciò! m’ha pure scorto per un montone. Oh Dio! Che farò io?

Pasquella. Che avete, padrone?

Gherardo. Che ho, ah? Chi è colui che è con mia figliuola?

Pasquella. Oh! Noi sapete voi? non è la citola di Virginio?

Gherardo. Citola, ch? Citola, che fará fare a mia figliuola de’ citoli, dolente a me!

Pasquella. Eh! non dite coteste parolacce! Che cos’è? non è Lelia?

Gherardo. Dico che gli è un maschio.

Pasquella. Eh, non è vero! Che ne sapete voi?

Gherardo. L’ho veduto con questi occhi.

Pasquella. Come?

Gherardo. Adosso alla mia figliuola, trist’a me!