Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
366 | gl’ingannati |
Virginio. Gherardo, di grazia, mettiamola in casa tua, ch’ella non sia veduta cosi.
Gherardo. Non farò. Menala pure alla tua.
Virginio. Per mio amore, fa’ un poco aprire l’uscio.
Gherardo. Non, dico.
Virginio. Ascolta un poco. E voi aviate cura che costei non vada altrove.
Fabrizio. Io ho conosciuti molti modanesi pazzi li quali non contarei per nome; ma pazzi come questo vecchio, che non stesse o legato o rinchiuso, non viddi alcuno mai. Guarda che bello umore! È impazzato in questo, per quanto mi sono accorto: che i gioveni gli paion donne. Oh! Questa è molto piú bella pazzia che quella che il Molza disse della donna sanese che gli pareva essere una vettina: essendo piú propio delle donne aver poco cervello che de’ vecchi che, per mille ragioni, deveno essere savissimi. E non vorrei per cento scudi non poter contar questa pazzia alle veglie, al tempo dei carnovali. Or vengono in qua. Vediamo quel che dicono.
Gherardo. Io ti dirò il vero. Da un canto, mi pare; dall’altro, no. Pure, se gli può domandare un poco meglio.
Virginio. Vien qua.
Fabrizio. Che volete, buon vecchio?
Virginio. Tu sei ben trista, tu.
Fabrizio. Non mi dite villania, ch’io non comportarò.
Virginio. Sfacciata!
Fabrizio. Oh! oh! oh! oh! oh! oh! oh!
Gherardo. Lasciai dire: non vedi che gli è scorrucciato? Fa’ a suo modo.
Fabrizio. Che vuol da me? che ho da far né con voi né con lui?
Virginio. "Ancor hai ardir di parlare? Di chi sei figliuola, tu?
Fabrizio. Di Virginio Bellenzini.
Virginio. Volesse Dio che tu non fusse! che tu mi farai morir innanzi tempo.
Fabrizio. Innanzi tempo muore un vecchio di sessant’anni? Tanto vivesse ognuno! Morite a vostra posta, che séte vissuto troppo.