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atto terzo | 363 |
Gherardo. Io ti priego che non me ne parli.
Virginio. Oh! Vói mancar della tua parola?
Gherardo. A chi m’ha mancato di fatti, si: oltra che tu non sai se la potrai riavere o no. Tu mi vói vendere l’uccello in su la frasca. Ho ben sentito, quando tu ragionavi con Clemenzia, il tutto.
Virginio. Quando io non la riabbia, io non te la vo’ dare; ma, s’io la riaverò, non sei contento che le nozze si faccin subito?
Gherardo. Virginio, io ho avuta la piú onorata moglie che fusse in questa cittá e ho una figliuola che è una colombina.
Come vói ch’io mi metta in casa una che s’è fuggita dal padre e va per questa casa e per quella vestita da maschio, come le disoneste donnacce? Non vedi ch’io non trovarei da maritar mia figliuola?
Virginio. Passato qualche di, non se ne ragionará piú. Che credi che sia? E’ non vi è altri che tu e io che lo sappi.
Gherardo. E poi ne sará piena tutta questa terra.
Virginio. E’ non è vero.
Gherardo. Quant’è ch’ella è fuggita?
Virginio. O ieri o questa mattina.
Gherardo. Dio ’l voglia. Ma che sai ch’ella sia in Modena?
Virginio. Sollo.
Gherardo. Or truovala e poi ci riparleremo.
Virginio. Promettimi di pigliarla?
Gherardo. Vedrò.
Virginio. Or dimmi di si.
Gherardo. Noi dico, ma...
Virginio. Or dillo liberamente.
Gherardo. Adagio! Che fai costi, Pasquella? Che fa Isabella?
Pasquella. E che! Sta in ginocchioni dinanzi al suo altaruccio.
Gherardo. Benedetta sia ella! Io ho una figliuola che sempre sta in orazione. È la maggior cosa del mondo.
Pasquella. Oh quanto ben dite! La digiuna tal vigilia che Dio vel dica; dice l’officio, come una santarella.
Gherardo. Somiglia quella benedetta anima di sua madre.