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28 | la calandria |
essa de l’opera mia mi richiede è perché, buttando de figure e punti e avendo pure ben la chiromanzia, tra le _donne, che credule sono, ho fama d’essere un nobil negromante; e tengan per certo che io abbia uno spirito col quale elle s’avvisano che io faccia e disfaccia ciò che voglio. Il che io volentieri consento per ciò che spesso grandissimo utile e talor di belli piaceri con queste semplicette ne traggo: come si fará ora con costei, se savio sarai; però ch’ella vuole che io ti costringa andar da lei ed io, pensando reco intendermi, glie n’ho data qualche speranza. Se tu or vorrai, ricchi insieme diventeremo e tu di lei diletto trar potrai.
Lidio femina. Ruffo, in queste cose assai fraude intendo si fanno ed io, inesperto, facilmente potria esserci gabbato. Ma, fidandomi di te che sei il mezzano, non me ne discosterò allora che delibererò di farlo. Ci penseremo Fannio ed io. Ma dimmi: chi è costei?
Ruffo. Una detta Fulvia, ricca, nobile e bella.
Fannio. Oh! oh! oh! La padrona di colei che or ora ti parlò.
Lidio femina. Vero dici.
Ruffo. Come! La serva sua t’ha parlato?
Lidio femina. Or ora.
Ruffo. E che le rispondesti?
Lidio femina. Me la levai dinanzi con villane parole.
Ruffo. Non fu fuor di proposito. Ma, se piú ti parla, mostratele piú piacevole, se alla cosa attender vorremo.
Lidio femina. Cosi si fará.
Fannio. Dimmi, Ruffo: quando aria Lidio ad esser con lei?
Ruffo. Quanto piú presto, meglio.
Fannio. A che ora?
Ruffo. Di giorno.
Lidio femina. Oh! io saria visto.
Ruffo. Vero. Ma la vole che lo spirito ti costringa andarvi in forma di donna.
Fannio. E che vuol far di lui, se la pensa lo spirito lo converta in donna?