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atto secondo 343


Pasquella. Non pare, a me. Anzi, l’ha trovato due volte in casa; ed hagli fatto mille carezze, presolo per la mano, toccato sotto ’l mento, come se fusse suo figliuolo. E dice che gli par che s’assomigli a una figliuola di Virginio Bellenzini.

Giglio. Ah reniego del putto, vieio puerco, vellacco! Ya, ya. Sé io lo que quiere.

Pasquella. Uh! Tu m’hai tenuta troppo; me ne voglio ire.

Giglio. Mira que verrò, a está nocce. Non te scordar della promessa.

Pasquella. Né tu di portar la corona.

SCENA IV

Flamminio, Crivello suo servo e Scatizza servo di Virginio.


Flamminio. Tu non sei ito a veder se tu vedi Fabio; ed egli non viene. Non so che mi dire di questa sua tardanza.

Crivello. Io andavo; e voi mi richiamaste indietro. Che colpa è la mia?

Flamminio. Va’ adesso: e, caso che ancor fusse in casa d’Isabella, aspettalo fin che gli esca e fallo poi venir subito.

Crivello. Oh! Che saprò io se v’è o se non v’è? volete forse ch’io ne domandi alla casa di lei?

Flamminio. Mira che asino! Parti che cotesto stesse bene? Credelo a me ch’io non ho servidore in casa che vaglia un pane altro che Fabio. Iddio mi dia grazia ch’io gli possa far del bene. Che borbotti? che dici, poltrone? non è vero?

Crivello. Che volete ch’io dica? Dico di si, io. Fabio è buono, Fabio è bello, Fabio serve bene, Fabio con voi, Fabio con madonna... Ogni cosa è Fabio; ogni cosa fa Fabio. Ma...

Flamminio. Che vuol dir «ma...»?

Crivello. ...non sará sempre buona robba. !

Flamminio. Che dici tu di robba?

Crivello. Che non è da fidargli cosí sempre la robba. Si, che gli è forestiero e potrebbe, un di, caricarvela.

Flamminio. Cosí fidati fusse voi altri! Domanda un poco