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atto secondo 27


Fannio. Io arei pure voluto intendere il tutto da costei; ché nocer non potea.

Lidio femina. La cura piú grave tutte l’altre scaccia. Pur, se piú mi parlasse, piú grato me le mostrerrei.

Fannio. Io cognosco costei.

Lidio femina. Chi è?

Fannio. Samia serva di Fulvia gentildonna romana.

Lidio femina. Oh! oh! oh! Anch’io la cognosco, ora. Pazienzia! Ella ben nominò Fulvia.

SCENA III

Lidio femina, Fannio servo, Ruffo negromante.

Ruffo. Oh! oh! oh!

Lidio femina. Che voce è quella?

Ruffo. Vi sono andato cercando un pezzo.

Fannio. Addio, Ruffo. Che c’è?

Ruffo. Buono.

Fannio. Che?

Ruffo. Or lo saperrete.

Lidio femina. Aspetta, Ruffo. Odi, Tiresia. A casa te ne va’ e vedi quel che fa Perillo nostro padrone circa al fatto di queste nozze mie; e, quando verrá lá Fannio, mandami per lui a raguagliare quello che vi si fa perché intendo oggi non lassarmi trovare per vedere se in me verificar si potesse quel che il vulgo dice: «Chi ha tempo ha vita». Va’ via. Or di’ tu, Ruffo, quel buon che ci porti.

Ruffo. Benché novellamente vi cognoschi, pur molto vi amo, sendo tutti d’un paese; e li cieli occasion ce dánno che insieme ce intendiamo.

Lidio femina. Certo, da noi amato sei e teco sempre ce intenderemo volentieri. Ma che ce di’ tu?

Ruffo. Dirò brevemente. Udite. Una donna, di te, Lidio, innamorata, cerca che tu suo sia come ella è tua e dice che, non giovandoli altro mezzo, al mio ricorre. E la causa per che