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336 gl’ingannati

il tempo e quanto fate in seguirla, perché, alla fine, vi trovarete con le mani piene di vento.

Flamminio. E pare a te, Fabio, che queste cose le dica di cuore o pur ch’ella abbia qualche sdegno con esso me? Che pur soleva, qualche volta, farmi favore, da un tempo in lá; né posso creder ch’ella mi voglia male, accettando le mie lettere e le mie imbasciate. Io so’ disposto di seguirla fino alla morte. Ben vo’ vedere quel che n’ha da essere. Che ne dici, Fabio? non ti pare?

Lelia. A me no, signore.

Flamminio. Perché?

Lelia. Perché, s’io fusse in voi, vorrei ch’ella l’avesse di grazia ch’io la mirasse. Forse ch ’a un par vostro, nobile, virtuoso, gentile, delle bellezze che séte, mancaranno dame? Fate a mio modo, padrone. Lasciatela e attacatevi a qualcun ’altra che v’ami; che ben ne trovarete, si, e forse di cosí belle come ella. Ditemi: non avete voi nissuna che avesse caro che voi l’amasse, in questa terra?

Flamminio. Come s’io n’ho? Ve n’è una, fra l’altre, chiamata Lelia, che mille volte ho voluto dire che ha tutta l’effigie tua, tenuta la piú bella, la piú accorta e la piú cortese giovane di questa terra (che te la voglio, un di, mostrare), che si terrebbe per beata pur ch’io le facesse una volta un poco di favore; ricca e stata in corte; ed è stata mia innamorata presso a uno anno, che mi fece mille favori, di poi s’andò con Dio alla Mirandola. E la mia sorte mi fece innamorar di costei: che tanto m’è stata cruda quanto quella mi fu cortese.

Lelia. Padrone, e’ vi sta bene ogni male perché, se avete chi v’ama e non l’apprezzate, è ragionevol cosa che altri non apprezzi voi.

Flamminio. Che vuo’ tu dire?

Lelia. Se quella povera giovane fu prima vostra innamorata, e anco piú che mai v’ama, perché l’avete abbandonata per seguire altri? Il qual peccato non so se Iddio ve lo possa mai perdonare. Ahi, signor Flamminio! Voi fate, per certo, un gran male.