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atto primo 329


Clemenzia. In buona fé, che costei ha veduto Gherardo che viene in qua; e però s’è fuggita. Or_che farò io? Di costei non è cosa da dire al padre e non è da lasciarla star qui. Tacerò fin che di nuovo gli parli.

SCENA IV

Gherardo vecchio, Spela suo servo e Clemenzia balia.


Gherardo. Se Virginio fa quanto m’ha promesso, io mi vo’ dare il piú bel tempo ch’uom di Modena. Che ne dici, Spela? Non farò bene?

Spela. Credo che molto meglio fareste a far qualche bene ai vostri nepoti, che stentano, e a me, che v’ho servito tanto tempo e non mi so’ pure avanzato un par di scarpe; ch’io ho paura che questa moglie non vi mandi qui o che la vi faccia... So ben io.

Gherardo. Vorrò che tu vegga s’ella si terrá ben pagata da me.

Spela. Credolo: che, dove un altro la pagarebbe di grossi e di cinquine, e voi la pagarete di doppioni e di piccioli.

Gherardo. Ecco la sua balia. Taci, ch’io voglio astutamente domandare che è di Lelia.

Clemenzia. Oh che bel giglio d’orto da voler moglie si tenera! Credi che fusse ben condotta, quella povera figliuola, nelle man di questo vecchio rantacoso? Alla croce di Dio, che io la strozzerei prima che voler ch’ella fusse data a questo vieto, muffato, baboso, rancido, moccioso. Io ne voglio un poco di pastura. Lassamigli accostare. Dio vi dia il buon di e la buona mattina, Gherardo. Voi mi parete, questa mattina, un cherubino.

Gherardo. E a te ne dia centomila e altri tanti ducati.

Spela. Cotesti starebbon meglio a me.

Gherardo. O Spela, quanto sarei stato contento s’io fusse costei!

Spela. Perché avreste, forse, provati molti mariti, ove non avete provato se non una moglie? O pur il dite per altro?