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326 gl’ingannati

durin d’amare una donna sola un anno e che un mese non dien la berta a questa e un mese a quell’altra?

Lelia. Trovailo che tanto apponto si ricordava di me quanto se mai veduta non m’avesse; e, ch’è peggio, ch’ogni suo animo, ogni sua cura ha posta in acquistar l’amor d’Isabella di Gherardo Foiani come quella che, oltre ch’è assai bella, è unica a suo padre, se quel vecchio pazzo non piglia moglie e faccia altri figliuoli.

Clemenzia. Egli si crede certo d’aver te; e dice che tuo padre te gli ha promesso. Ma questo che tu m’hai detto non fa a proposito del tuo andar vestita da maschio e del tuo essere uscita del monistero.

Lelia. Se mi lassi dire, vedrai che gli è a proposito. Ma, rispondendo a quel di prima, dico che me non averá egli. Tornato che fu mio padre da Roma, gli accadde il cavalcare a Bologna per certi intrighi di conti; e, non volendo io piú tor• nare alla Mirandola, mi messe nel monistero di San Crescenzio in compagnia di suor Amabile, nostra parente, fin che tornasse, che si pensò di tornar presto.

Clemenzia. Tutto questo sapevo.

Lelia. Ivi stando, né d’altro che d’amor ragionare sentendo a quelle reverende madri del monistero, m’assicurai ancor io di scoprire il mio amore a suor Amabile de’ Cortesi. Ella, che ebbe pietá di me, non fino mai ch’ella fece venire piú volte Flamminio a parlar seco e con altre acciò che io, in questo tempo, che nascosta dopo quelle tende mi stava, pascesse gli occhi di vederlo e l’orecchie d’udirlo; che era il maggior desiderio ch’io avesse. Venendovi un di, fra gli altri, sentii che molto si rammaricò d’un suo allievo che morto gli era e molto diceva delle lode e ben servire suo; soggiungendo che, se un simile ne trovasse, si terrebbe piú contento del mondo e che gli porrebbe in mano quanto teneva.

Clemenzia. Meschina a me! Io dubito che questo ragazzo non mi facci vivere scontenta.

Lelia. Subbito mi corse nell’animo di voler provare se a me potesse venir fatto d’esser questo aventuroso ragazzo (e,