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318 | gl’ingannati |
Virginio. Né questo né altro rispetto mi terrebbe, Gherardo, se fusse in arbitrio mio di poterti fare oggi sposar mia figliuola, ch’io non lo facesse; e, avenga che quasi ogni mia facultá perdesse nel sacco (ed insieme Fabrizio, quel mio benedetto figliuolo), per grazia di Dio, mi è rimaso ancor tanto di patrimonio ch’io spero poter vestire e far le nozze di mia figliuola senza gravare alcun che mi sovenga. Né pensar ch’io mi sia per mutare di quel ch’io t’ho promesso, quando la fanciulla se ne contenti; che ben sai tu che non sta bene a mercatanti mancar di quello ch’una volta promettono.
Gherardo. Cotesta è una cosa, Virginio, che piú si sente in parole che non si truova in fatti fra’ mercatanti de’ nostri tempi. Ben credo che non sia tu di quelli. Non di meno il vedermi menar d’oggi in domane e di domane nell’altro mi fa sospettar non so che; né ti cognosco io per cosí da poco che, quando vorrai, non facci far tua figliuola a tuo modo.
Virginio. Ti dirò. Tu sai che m’accadde l’andare a Bologna per saldar la ragione d’un traffico che aveamo insieme messer Buonaparte Ghisilieri, il cavalier da Casio ed io. E perch’io sono in casa solo, ed abitavo in villa, non volsi lasciar mia figliuola in man di fantesche; ma la mandai nel monister di San Crescenzio, a suor Camilla sua zia: ove è ancora, che sai ch’io tornai iersera. Ora io ho mandato il famiglio a dirgli che la torni.
Gherardo. Sai tu certo ch’ella sia nel monistero e ch’ella non sia altrove?
Virginio. Come s’io il so? dove vuo’ tu ch’ella sia? che domanda è questa?
Gherardo. Dirotti. Son stato certe volte lá per mie facende ed honne domandato; e mai non l’ho potuta vedere; e alcune mi hanno detto ch’ella non v’è.
Virginio. Gli è perché quelle buone madri la vorrebon far monaca per redare, dopo la morte mia, questo poco di resto. Ma non per questo gli riuscirebbe il pensiero, ch’io non son però si vecchio ch’io non sia atto ad avere un par di figliuoli, quando io tolga moglie.