che ne potrei contar piú di trecento
millia novanta dodici. E ben spesso
mi sogno: e poi, svegliato, mi ritrovo
sotto una scala o in cánova o in cucina
o sotto un desco; e poi non mi ricordo
se andai la sera al letto o se vi fui
portato da qualcuno. E si mi pare
aver sognato le piú nuove cose
del mondo! Cosí loro ancora abbracciano
il loro amore in sogno e di poi, desti,
non fan che lamentarsi. Dice l’uno:
— Beato insogno! — e, di languir contento,
d’abbracciar l’ombre e imbrattar le lenzuola
d’un dolce pianto... Artemona Ah! ca! A quanti intraviene! Pilastrino Dunque non mento. L’altro chiama il cielo
crudel che in quella tanta dolcitudine
non l’ha fatto morire o ver concesso
di non destarsi mai. Cosí face’ io,
se mi truovo, in quel sogno, ben pasciuto.
Allor vorrei che ’l mondo stesse sempre
in quello stato. Ma poi, come indugio
ogni poco, incomincio a sentir dentro
gli asprissimi dolori de la fame:
ond’io mi adiro e squarto e maledico;
e, se pur sono in luogo che non possa
farlo forte a mio modo, da me dico
la messa piana, come ne l’incanto
faceva Girifalco. Ma vo’ dirti.
Sento un sonno assalirmi che non posso
tener piú gli occhi aperti. Artemona Si: t’ho inteso.
Va’ dormi; n’hai bisogno. Io ’l vidi al primo,
ch’era cotto a l’usato.