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atto quarto 259

          che non abbia piacer d’essere amata,
          come tu mostri.
          Lúcia Io sono, in queste cose,
          nata troppo infelice e disgraziata.
          E però mi risolvo sempre mai,
          quanto potrò, fuggirle perché insieme
          fuggirò quei travagli e quelle pene
          che fanno altrui morire innanzi al tempo.
          Io l’ho provato e cognosco oramai
          quel ch ’è ’l cervel d’uno uomo.
          Artemona Tu mi strazi.
          Io priego Iddio che faccia, in penitenza
          di tanto mancamento, che tu pianga,
          un tratto, per qualcun, come or ne ridi:
          che forse allor mi terresti piú cara.
          Ecco tua madre. Voglio andar da lei.
          Come ne parlo piú...
          Lúcia Sta’: non andare.
          Quando tornerai in qua? verrai stasera?
          Non odi?
          Artemona S’io verrò, tu mi vedrai.
          Calonide, buon di.
          Calonide Dio ti contenti,
          Artemona Tu hai una buona cera.
          Buon prò ti faccia.
          Artemona Cosí dice ognuno.
          Ma non lo credo lor, che le mie gambe
          mi dicon quel ch’io son.
          Calonide Di’, per tua fé:
          come la fai con gli anni?
          Artemona Oh! bene, bene:
          che passan via che non li veggio a pena;
          e mi fan cosí buona compagnia
          ch’altro dolor non ho sempre nel cuore
          se non che non stan meco o ver, partiti,
          non ritornan mai piú.